Le stelle.
Oh, cosa sono le stelle? Nient'altro che ammassi di gas ad altissima temperatura, lontani e lontanissimi da noi. Oh, le stelle ci aiutano, influenzano il corso degli eventi.
Forse è stata solo colpa mia, e di nessun altro. Colpa mia quando rimasi sorpresa, attonita dal vedere, di colpo, più buio di quanto fosse già: no, non le vedevo più, le stelle. Ma ero certa che loro stavano guardando me. Colpa mia quando sentii delle mani, ben più di due, sul mio corpo, del dolore ai polsi, e delle spine che si conficcavano nella mia pelle al mio minimo movimento. Ma mi agitavo, e mi agitavo ancora, lo ricordo bene.
E le stelle guardavano.
La terra mi mancò da sotto i piedi e supponevo che i miei muscoli si rilassassero, non dovendo più sostenere il mio esile peso; non fu così, e per quanto riuscivo continuavo a dimenarmi, a picchiare quell'essere che mi aveva preso, poiché lo sentivo respirare sotto di me. Ogni pugno sferrato valeva un dolore doppio, ai polsi, alle braccia, ovunque sentissi la morsa stringere sempre più.
E non vedevo, non potevo vedere.
Ma le stelle vedevano.
Non perdevo la speranza, né la forza di reagire, sebbene la sentissi sempre più esile, nelle mie vene. Avevo come la sensazione che il mio cuore si stesse per fermare. Ma ahimé, sono viva. E sto mettendo per iscritto i miei ricordi.
Quanto avrei preferito morire lì, in quel momento! Non avrei dovuto sopportare in silenzio tanta sofferenza, e non avrei dato la soddisfazione a quegli stolti di avermi. Perché mi ebbero, e di questo ne porto ancora i segni. E mi ebbero mentre non potevo vedere, mentre non potevo sentire.
Eppure le stelle sentivano.
Mi risvegliai quando i primi raggi dell'alba avevano appena invaso la baracca in cui mi trovavo. Non avevo indosso nulla, a parte un manto livido di percosse e sangue pesto. C'era sangue anche sul giaciglio, e tra le mie gambe. Ma non fu quello a sorprendermi: me lo aspettavo, in fondo. Sentivo qualcosa di caldo, accanto a me, ed avevo quasi timore a voltarmi. Poi udii un respiro tranquillo, rasserenato. C'era brutto ceffo che sonnecchiava. Sì, finalmente poteva rilassare i suoi muscoli, ché la sua voglia era stata soddisfatta. A quella visuale sentii una rabbia incontrollabile montarmi in petto, e non compresi più nulla.
L'ultimo mio ricordo di quel viso fu offuscato dal tessuto rozzo del guanciale, e disturbato da qualche vibrazione, da qualche spasmo disperato di quello stupratore che meritava questa e mille altre sevizie.
Trascorsero pochi istanti, e già uscivo, pulendomi il labbro spaccato con il dorso della mano. L'avrebbero trovato, e di certo non avrebbero fatto domande sulle cause del suo improvviso decesso: avrebbero addossato la colpa all'alcool che scorreva troppo impetuosamente nelle sue vene. E io, sicuramente, non avrei detto nulla.
E nemmeno le stelle lo avrebbero fatto, poiché, ormai è appurato, ultimamente sono insolitamente silenziose.